Nel mondo dell’ingegneria informatica, specialmente quando si parla di sistemi distribuiti, cloud, microservizi, container, reti complesse e servizi ad alta disponibilità, è impossibile evitare che qualcosa vada storto. Il Chaos Engineering è nato proprio per questo motivo: non per causare disagi, ma per preparare il sistema a resistere a guasti reali, per imparare dove sono i punti deboli e migliorare prima che arrivino i disastri.
In breve, il Chaos Engineering è la disciplina che prevede esperimenti intenzionali e controllati in ambienti di produzione o pre-produzione, volti a introdurre errori, guasti, condizioni avverse per capire come il sistema reagisce, e quindi rafforzarlo. Non è testing tradizionale: non si verificano solo le funzioni (cioè: “questo componente risponde correttamente allo stimolo”), ma si osserva come un’intera architettura regge condizioni impreviste o avverse.
Principi di base
Prima di entrare nel “come”, è utile fissare alcuni concetti fondamentali:
- Stato stazionario (steady state). Definire cosa significa che il sistema “funziona normalmente”: metriche chiave (latenza, throughput, error rate, utilizzo risorse, ecc.) nel corso del tempo. Senza questa baseline è difficile capire se un esperimento ha avuto effetto negativo;
- Ipotesi. Ogni esperimento di Chaos Engineering parte da un’ipotesi su come dovrebbe comportarsi il sistema sotto un certo tipo di guasto (“se la rete ha latenza X%, il sistema potrebbe degradare, ma restare operativo su questi nodi, oppure fallire completamente”);
- Fault injection. L’atto di introdurre il guasto: questo può essere un nodo che cade, un servizio che si blocca, latenza di rete, errori di disco, problemi nelle dipendenze esterne, saturazione di CPU/RAM, perdita di pacchetti, ecc.;
- Osservabilità. Monitoraggio, metriche, logging e tracing sono indispensabili. Serve capire non solo che “qualcosa è andato male”, ma come il sistema ha reagito, quali componenti hanno sofferto, se ci sono state degradazioni graduali o interruzioni totali;
- Sicurezza e gradualità. Non si va subito ad agitare la produzione in modo incontrollato. Si parte in ambienti di test o staging, poi si estende a produzione con limiti precisi (blast radius controllato), rollback possibili, supervisione;
- Iterazione. I risultati degli esperimenti portano a modifiche (aggiornamenti, architettura ridondante, fallback, circuit breaker, timeouts, retry, fallback UI, ecc.). Poi si rifanno gli esperimenti per valutare che le soluzioni adottate funzionino.
Perché applicarlo?
Alcuni dei motivi principali per cui le organizzazioni usano il Chaos Engineering:
- prevenire downtime o degradazioni gravi, scoprendo vulnerabilità prima che causino impatti reali;
- migliorare la resilienza: strutturare i sistemi in modo che possano continuare a funzionare, anche quando parti dell’infrastruttura falliscono o sono rallentate;
- rafforzare la cultura operativa: l’equipe tecnica deve abituarsi a gestire errori, rispondere rapidamente, ragionare su failure reali, non solo su bug;
- ottimizzare architetture: capire dove inserire ridondanza, come progettare fallback, come ottimizzare retry / timeout / circuit breakers;
- aumentare fiducia nei deploy continui, nelle operazioni in ambienti distribuiti con molti componenti: più è grande la complessità, maggiore è il rischio che qualcosa di non considerato “in laboratorio” fallisca in produzione.
Come applicarlo all’ingegneria informatica
Ecco un possibile processo operativo per integrare Chaos Engineering:
- Mappatura del sistema
Conoscere componenti, dipendenze (servizi interni, esterni, risorse esterne, rete, storage, database, etc.). Quali sono le metriche importanti, quali SLA / SLO si vogliono rispettare.
- Stabilire baseline
Stabilire come il sistema dovrebbe comportarsi in condizioni normali (latenza, throughput, errori accettabili). Serve da riferimento per confrontare durante esperimenti.
- Definire ipotesi di resilienza
Ad esempio “se un pod viene ucciso, il servizio rimane disponibile con latenza non più alta del 20%” oppure “se la latenza di rete aumenta del 100 ms tra microservizi, il timeout applicativo deve attivarsi e gestire la degradazione”.
- Selezionare rischi da testare
Quali tipi di guasto possono avere maggiore impatto? Rete, hardware, servizi esterni, errori nei database, saturazione risorse, errori software.
- Scegliere i tool adeguati
Qui entrano in gioco i Chaos Engineering tools. Strumenti che permettono di introdurre guasti in modo controllato, parametrizzato, automatizzato. Alcuni sono open source, altri commerciali.
- Eseguire esperimenti in ambienti controllati / staging
Prima di toccare produzione. Stabilire “blast radius” piccolo, rollback chiaro, monitoraggio attivo.
- Esecuzione in produzione, se opportuno
Solo se si hanno garanzie di sicurezza, monitoraggio stretto, procedure di fallback, alert, limitazioni. Alcune organizzazioni fanno “Game day” esperimenti pianificati anche in produzione per testare la resilienza sotto condizioni realistiche.
- Analisi dei risultati
Quali metriche sono cambiate? Ci sono stati errori imprevisti? Degrado di prestazioni? Quali componenti hanno subito più impatto? Quali dipendenze esterne hanno problemi?
- Correzione e rafforzamento
Modificare architettura: ridondanza, resilienza, timeout, retry, fallback, caching, miglioramenti sull’infrastruttura. Aggiornare il codice e la configurazione.
- Ripetizione & automazione
Integrare esperimenti di caos nei cicli CI/CD, se possibile. Automatizzare parte degli esperimenti per renderli ripetibili e parte del processo di rilascio.
Esempi concreti di Chaos Engineering tools
È fondamentale conoscere gli strumenti che oggi permettono di fare Chaos Engineering in modo pratico. Ecco alcuni esempi:
Chaos Monkey
Creato da Netflix. È uno strumento pionieristico che “uccide” istanze (server, VM, container etc.) in produzione (o ambienti simili) in modo random, per verificare se l’architettura è resiliente sia a cadute di componenti che a guasti imprevedibili. Con Chaos Monkey si può testare se un sistema si ripara automaticamente quando un nodo viene tolto, se esiste ridondanza, se il bilanciamento del carico funziona, se i client o altri servizi reagiscono correttamente.
Chaos Mesh
Progetto open source, sotto l’egida della CNCF, particolarmente indicato per ambienti Kubernetes. Permette di definire esperimenti di guasto (fault injection) su risorse come pod, rete, dischi, CPU/memoria (“stress”), etc. Offre strumenti come dashboard, definizioni tramite CRD, selettori, capacità di orchestrare scenari complessi, rollback, visualizzazione dello stato.
Altri tool
Alcuni strumenti open source e commerciali includono LitmusChaos, Gremlin, AWS Fault Injection Simulator, Chaos Toolkit, Pumba, ToxiProxy ecc. Questi strumenti variano per livello di maturità, integrazione, costo, facilità d’uso.
Rischi
Chaos Engineering non è priva di rischi; serve attuarla con rigore. Alcune delle principali sfide:
- impatto sull’utente: se qualcosa va storto, si possono avere disservizi reali. Strategia per minimizzare il “blast radius” e rollback rapido è essenziale;
- dipendenze esterne / servizi terzi: se un servizio dipendente è inaffidabile, gli esperimenti possono amplificare il danno. Serve prevedere come isolare le dipendenze critiche;
- complessità tecnologica: sistemi distribuiti, microservizi, container, orchestratori (Kubernetes etc.), reti complesse, fallback multipli: capire tutte le interazioni può essere difficile;
- cultura aziendale: non tutti i team sono pronti a sperimentare guasti intenzionali. Serve educazione, governance, buy‑in da parte di management / operation / sviluppo;
- costi di monitoraggio e observabilità: per ottenere dati sufficienti serve investire in metriche, log, tracing, alerting, dashboard, strumenti di analisi. Senza questi, gli esperimenti rischiano di essere poco utili;
- sicurezza e compliance: in contesti regolamentati (finanza, salute, settore pubblico ecc.), un esperimento può sollevare problemi legali o di sicurezza, se non ben controllato.
Conclusioni
Il Chaos Engineering è fondamentale per aumentare la resilienza dei sistemi complessi, soprattutto in ambienti distribuiti come il cloud. Consiste nell’introdurre in modo controllato guasti o anomalie per osservare come il sistema reagisce e identificare punti deboli prima che causino problemi reali. Questo approccio proattivo permette di prevenire disservizi, migliorare l’affidabilità delle applicazioni e rafforzare la fiducia degli utenti. In un mondo dove l’alta disponibilità è cruciale, il Chaos Engineering non è solo una pratica avanzata, ma una strategia essenziale per garantire continuità operativa e prontezza in caso di imprevisti.
Nonostante i benefici, il Chaos Engineering presenta alcuni limiti. Innanzitutto, può essere rischioso se non viene eseguito in modo controllato: test mal progettati possono causare disservizi reali. Inoltre, richiede una profonda conoscenza del sistema e risorse dedicate, rendendolo difficile da applicare in contesti con infrastrutture meno mature. Un altro limite è che non può prevedere ogni possibile scenario di errore: per quanto estesi siano gli esperimenti, rimane sempre un margine di incertezza. Infine, può incontrare resistenze culturali in team poco abituati a sperimentazioni su sistemi in produzione.
Tuttavia, il Chaos Engineering, sebbene non privo di sfide, rappresenta un alleato prezioso per costruire sistemi più resilienti. Con un approccio responsabile, può trasformare l’incertezza in preparazione.
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